29 March, 2009

無印良品。Zen and the City in a bag.

No Brand Quality Goods.
Così recita il payoff della famosa casa giapponese Muji, nota per la linea essenziale e senza marca che contraddistingue da sempre i suoi prodotti (Muji significa proprio questo: prodotti di qualità senza logo).
Dall'oggettistica al servizio floreale, dal food alla realizzazione di vere e proprie abitazioni, in Giappone l'azienda si è ramificata in numerosi e strategici ambiti, seguendo i principi della filosofia Lohas (Lifestyles of Health and Sustainability), un nuovo stile di vita orientato alla concezione dello star bene secondo natura e sulla base di scelte eco-sostenibili.


Tra le novità dello scorso anno spicca l'originale collezione City in a Bag: dentro un sacchetto di cotone troviamo una divertente composizione di piccole sculture in legno, che ritraggono nei tratti salienti le quattro più famose metropoli del pianeta: New York, Tokyo, Londra e Parigi.


Anche da Fao Schwarz a Manhattan, c'era fino a poco tempo fa tutta la città ricostruita in LEGO, un'opera davvero mastodontica. Ma il minimalismo di Muji è insuperabile. Lo store no-logo ha aperto qualche anno fa in due differenti sedi, due ospitate nel MoMA Design Store, sia a Spring Street che sulla 57sima e altre sparse per l'isola (una si trova anche a Time Square).

24 March, 2009

Z&C People. Sapori d'oriente con lo chef Alessandro Salamone.

Atmosfere d'Oriente al Ketumbar, Roma

"Girare in Asia mi ha aiutato molto ad evolvere la mia cucina, a creare sapori nuovi. Vedere da vicino, toccare e assaporare prodotti quasi inesistenti in Italia è stato per me fantastico."

Già da qualche anno il giovanissimo Alessandro Salamone brilla di luce propria nel panorama gastronomico italiano. Forte di una rigorosa e sofisticata formazione, Alessandro ci porta in viaggio tra sapori e colori d'Oriente, in esclusiva su Zen and the City People.

Quand'ero piccolo passavo l'estate in Spagna dai nonni materni. Ricordo che mia nonna impastava la pizza a mano, e io mi divertivo a stare lì con lei. I ripiani della cucina zeppi di riviste culinarie, le sue mani rugose piene di farina e lei che mi guardava e rideva, e poi quel profumo di pizza che rempiva tutta la casa. Che ricordi... forse è stato proprio in quei momenti che decisi il mio futuro e mi avvicinai per la prima volta a questo mondo.

Qual è stato il tuo percorso formativo?
Devo davvero tutto ai miei genitori, che hanno creduto in me e mi hanno permesso di frequentare le scuole migliori d'Italia (IPSSAR e Maggia di Stresa, ndr): 180 km al giorno in treno, divise scolastiche, pranzo, libri. Ho studiato e lavorato in alcuni importanti ristoranti di Milano, e in famose località turistiche tra Ibiza, Sardegna, Cina e Giappone. Dopo aver imparato i capisaldi della tradizione mediterranea, ho iniziato a rivisitare i piatti con l'uso delle spezie e delle salse tipiche orientali, per esempio la teriyaki. Girare in Asia mi ha aiutato molto ad evolvere la mia cucina, a creare sapori nuovi. Vedere da vicino, toccare e assaporare prodotti quasi inesistenti in Italia è stato per me fantastico.

In particolare, il mio amore per il Giappone mi ha portato a diverse sperimentazioni in ambito culinario. Per esempio, con i fagioli di soia azuki preparo una zuppa di frutti di mare semplice ma davvero gustosa. Parto dalla cucina mediterranea, che è quella più completa, abbinando i sapori e i profumi di quella asiatica. L' importante è studiare con attenzione i colori, l'abbinamento dei vari sapori, senza mai strafare. Sono dell'idea che è la semplicità del piatto sia fondamentale: lasciare integri i sapori e riconoscere sempre quello che si sta mangiando. Insomma, creatività non troppo spinta e semplicità. Questo per me fa la differenza in cucina.


Quali sono attualmente i tuoi impegni più importanti?
Attualmente sono primo chef al Ketumbar, dove ogni lunedì tengo anche un corso di sushi. Inoltre, dallo scorso anno collaboro con Italian Food Net. Questa collaborazione per me è molto importante. Devo ringraziare Sulay Michelin, la produttrice e ideatrice della prima web tv italiana nel mondo, per avermi dato questa incredibile possibilità. È un progetto originale che mi mi permette di crescere professionalmente e, allo stesso tempo, divertirmi. È bello poter fare il mio lavoro davanti alle telecamere, cucinare direttamente davanti alle persone, realizzando ricette semplici e gustose e non le solite cose complicate.

Amo anche scrivere e raccontare di cucina nel mio blog. Fino a poco tempo fa mi occupavo di una rubrica di ricette creative su un mensile in free press, Club Italia Magazine. Mi piacerebbe molto scrivere un libro, e penso che mi troverei bene anche a partecipare a qualche programma televisivo di cucina. Ho vinto alcuni riconoscimenti, tra cui quello di Alta Cucina Mediterranea Creativa e, mentre lavoravo presso il Circolo dei canottieri Tevere Remo, il Concorso Nazionale dei Circoli Sportivi.


Dedica una tua creazione a Zen and the City e spiegaci perché.
Il piatto migliore da dedicare a Zen and the City è senza dubbio il mio salmone marinato con petali di zenzero e sfoglie di mela verde. Un connubio perfetto tra la tradizione orientale giapponese e la vitalità della Grande Mela. Un delicato richiamo ai petali del chakra, per un antipasto leggero che deve aprire l'appetito e rilassare il palato.
Ho imparato a fare una marinatura del pesce a secco, con sale grosso e zucchero, mentre lavoraravo da Alberto Ciarla. Con il passare del tempo ho provato diversi tipi di marinatura, finché ho creato questa che utilizzo per il salmone: sale grosso, zucchero di canna, pepe nero, anice, semi di finocchio, pepe rosa e radice di zenzero grattugiata.
La stessa radice di zenzero essiccata diventa polvere per guarnire il piatto. Al salmone abbino sfoglie di mela verde per alleggerirne il gusto; infine piccoli cubetti di mango, che danno un tocco amarognolo e si sposano benissimo con lo zenzero. Limoni di Amalfi e olio extra vergine di oliva, magari con spremitura a freddo e ovviamente di frantoio.


In un prossimo futuro? beh, sicuramente il mio sogno più grande è quello di avere un'attività tutta mia. Un ristorante anche piccolo, non chiedo una cosa grande, con qualità e prezzi decenti. Sembra difficile creare un locale di fiducia dove poter mangiare dei prodotti buoni e di qualità senza spendere cifre abissali, invece è possibile. C'è solo bisogno di molta volontà e, chiaramente, un buon investimento iniziale.
Per ora, penso che la cosa più importante sia stare con i piedi per terra e continuare a imparare. Tra i miei progetti c'è sicuramente quello di tornare in Giappone, per capire molte cose che mi affascinano, e toccare la mitica New York.

19 March, 2009

Around a World


La mattinata inizia con un giro al Whole Foods Market, per scovare una merendina inedita. Scelgo, infatti, pere, cannella e farina di kamut. Ci abbino un succo ai frutti di bosco senza zucchero e mi accomodo su una panchina. Oggi il cielo è terso e ho voglia di aperto.


Osservo le persone avanzare da una bancarella all’altra del mercatino che oggi anima questa zona. Molti prodotti venduti (tutti di stagione) sono fatti in questa miracolosa città. Miracolosa perché qui, sopra un grattacielo, c’è un signore che è riuscito a produrre vino (esiste anche un vecchio post su questo blog sull'argomento). Una ragazza acquista il miele della Big Apple…


Dopo questo vouyeristico relax, sento il bisogno di onorare lo sport che in questa città resta comunque il più praticato: lo shopping. Prima però entro a vedere le divise di basket e i nuovi arrivi da Paragon, il negozio di sport (quello vero) più fornito di Manhattan.


Bene, e ora all'attacco. Dopo due scale mobili eccomi in mille metri quadri abitati solo e unicamente da scarpe. Un piano di scarpe firmate guess a da altre griffe degne di nota scontate del 75%. Soddisfatta dall’acquisto (un paio di Maxrzia e di Converse) vado a sfamare la mente da Barnes & Noble Booksellers, anzi ne approfitto e vado anche al terzo piano dove ci sono dei bagni pulitissimi.


Intanto, mi sono ricordata che da Petco vendono un giochino strepitoso: un fil di ferro con topino di pezza all’estremità che fa impazzire il mio gatto. Lo acquisto subito.
Uff, è quasi ora di pranzo, se non sbaglio ci deve essere un Zen Palate da queste parti, anzi no, mi sa che quello in questa via è stato chiuso… tipico di Ny.

Un altro ristorante di Zen Palate


Mentre passo davanti alle vetrate del W Hotel, uno degli alberghi più trendy, essential, modern chic del momento, vedo un attore italiano, Vaporidis credo si chiami, che beve un cafe. Beato lui.

W Hotel


Rientro al supermercato dove ho iniziato la camminata stamattina e mi godo i quadri astratti degli artisti di strada, alcuni sono davvero originali. Oggi ci sono anche dei ragazzi giapponesi bravissimi, su un palco attrezzato per esibirsi in acrobatiche sequenze di breakdance.



Certo bel coraggio che ho avuto a chiamarla camminata: in realtà, ho solo fatto il giro di Union Square, il cuore di Manhattan…


14 March, 2009

エコバッグ。Me, my bag and I.


Le meravigliose eco-bag giapponesi griffate Hirocoledge.

Ampia, robusta, pieghevole e, soprattutto, ecologica.
Da qualche anno in Giappone un vero e proprio esercito in gonnella si è armato di eco-bag, dando vita a un movimento ecologico con l'intento di ridurre drasticamente l'emissione di CO2 dovuta all'eccessivo utilizzo dei sacchetti di plastica.


Presentando alla cassa del supermercato la propria eco-bag (in Giappone affettuosamente chiamata anche my-bag), si riceve una card; ogni volta che si rinuncerà al sacchetto di plastica, su di essa verrà apportato un timbro. Completata la card, si verrà omaggiati di 100 yen di sconto.

Nel 2007 in Giappone l'eco-bag è stata riconosciuta come l'oggetto di maggior successo regalato in occasione della Festa della Mamma. Passata alla storia la geniale operazione commerciale della famosa stilista inglese Anya Hindmarch che, nel luglio dello stesso anno, ha lanciato la sua "I'm NOT A plastic Bag". Messa in vendita al costo di 2000 yen (circa 16 euro) in edizione limitata, questa eco-bag è inaspettatamente diventata in pochi giorni un vero e proprio oggetto di culto, godendo inoltre del supporto mediatico di diverse celebrità in tutto il mondo.

Keira Knightley ritratta sulle strade di Londra, dal sito ufficiale di Anya Hindmarch.

Stessa strada è stata intrapresa un anno prima dalla nostra Benetton, che da sempre può contare su un massiccio numero di sostenitori nel Paese del Sol Levante. Con le sue coloratissime eco-bag pieghevoli, in vendita all'incredibile prezzo di 500 yen (circa 4 euro), nel giro di un anno ha superato il milione di pezzi venduti.

Le eco-bag di Benetton in vendita su Rakuten.

Per le strade di Shibuya, tra le my-bag più gettonate c'è sicuramente la sobria e capiente reusable tote di Dean and De Luca, il grocery store più chic di NY, soprattutto nella sua versione full black.
Grazie a the City per aver ispirato questo post ^^

03 March, 2009

Z&C People. Live con Daniele Mattioli.

Tearsheets. Photo by Daniele Mattioli® All rights reserved.

"La fotografia non è necessariamente uno strumento di verità, ma è saper fermare la tanta arte che esiste nella vita quotidiana."

Dopo aver lavorato a Toronto, Vienna e Sidney, Daniele Mattioli si è stabilito a Shanghai, dove affronta temi legati alla città e alle contraddizioni sociali ed economiche della Cina moderna. In esclusiva per Zen and the City racconta la sua arte: la fotografia.

Ho iniziato come fotografo di reportage di viaggi, per poi sconfinare nei temi sociali. Non mi definisco un fotogiornalista, ma uno che lavora nel campo documentativo. Specialmente negli ultimi anni sto cambiando a favore di una fotografia più d'autore, personale, che possa essere anche esposta. Scostandomi dall'oramai saturo mondo editoriale, dove è diventato difficile lavorare bene, vista la grande quantità di fotografie amatoriali ed "editorialmente accettabili" che si trovano facilmente in Rete. Lavoro anche per commissioni commerciali come fotografia corporate e ritratti.

Shanghai Jazz. Photo by Daniele Mattioli® All rights reserved.

Daniele Mattioli: chi è?
Bella domanda... in generale la mia scusa per non saperlo è quella di aver passato gran parte della mia vita a cercare di rispondere a questa domanda...
Penso che la voglia di fotografare sia legata ad una certa curiosità verso quel mondo in cui viviamo. Sono partito con una ricerca oggettiva della realtà, riportare quello che visitavo, quello che riuscivo a vedere. Per poi passare a un ricerca più soggettiva, cercando di sapere attraverso una mia interpretazione. Di sicuro l'irrequietezza mi ha portato a percorrere molte strade, a volte le strade meno logiche ma anche le più interessanti.
La fotografia non è necessariamente uno strumento di verità, ma è saper fermare la tanta arte che esiste nella vita quotidiana. Così ho cercato di tirar fuori lo straordinario che si nasconde tra le tante composizioni che si possono ottenere dalla casualità dei fatti, dai movimenti e dalle espressioni della gente; dalle luci che si abbattono sui nostri luoghi, i luoghi che si decide di vedere. Quella casualità che scientificamente non si può razionalizzare ma solo seguire e sentire.

Chinatown, London. Photo by Daniele Mattioli® All rights reserved.

Quali sono i mostri sacri con cui un fotografo si incontra/scontra durante la sua formazione? E che tipo di influenze hai avuto?
Il primo scontro è sicuramente quello tecnico, anche se le ultime macchine digitali facilitano l'apprendimento. Poi inizia quello più difficile, l'impatto visivo. Molti credono di saper vedere solo perché posseggono una sicurezza tecnica; questa è una delle grandi mistificazioni in fotografia, anzi al contrario si comincia a vedere quando si comincia ad assimilare l'abilità tecnica e si comincia a lavorare sul messaggio che la foto deve dare.
Le mie influenze sono state tante. Agli inizi sicuramente William Klein e Robert Frank.
Adesso, con una maggiore maturità guardo a quei fotografi che sanno fare arte della realtà, trovando la differenza dalla normalità. Ho molti nomi e per questo motivo ho deciso di scrivere Augenblick, un blog per parlare di fotografi. È allo stesso tempo un modo di educarmi. Il blog in questo senso ha lo stesso significato di un "post-it" per me, è come mettere ordine tra le tante influenze, capirle e poi dimenticarle e dare retta al proprio istinto. Sono in questa fase.

Come utilizzi gli strumenti mediatici che ci offre oggi la tecnologia? Quanta libertà di pensiero e parola ritieni di avere?
Nella fotografia, la macchina digitale che potrebbe in teoria rappresentare lo sviluppo tecnico e la facilitazione, ha avuto un effetto opposto. Per fare un esempio, riporto le parole del fotografo americano di origini giapponesi Teru Kuwayama, che nel rispondere al perchè non usasse macchine digitali moderne racconta che "in Giappone, per un periodo di 300 anni, i samurai smisero di usare i fucili per poter tornare all'arco e le frecce". Il progresso non è sempre uno sviluppo adatto. Lo dico perchè dopo essermi ubriacato dei tanti vantaggi della digitale sono tornato a fare i miei progetti personali usando vecchie macchine di medio formato, che mi danno un risultato migliore. Ma allo stesso tempo non sono un tradizionalista, cerco sempre quello che più si adatta al mio modo di lavorare.

Cosplayer. Photo by Daniele Mattioli® All rights reserved.

Dedica una foto a Zen and the City e spiegaci perché.
Ho una foto che spero vi possa piacere. La foto ritrae un cosplayer cinese. Il fenomeno giapponese del Cosplay sta esplodendo in Cina, e il ragazzo in questione si è costruito un costume da robot; l'ho fotograto nella sua piccola, vecchia stanzetta.
Questa foto fa parte di un progetto che riguarda le differenti sub-culture e influenze presenti in Cina, quelle influenze che stanno cambiando la generazioni dei ventenni, un progetto del 2009 in cui ricorreranno i vent'anni dalla protesta di piazza Tian an men.


I lavori di Daniele Mattioli sono stati pubblicati su The New York Times, Time, Focus, GQ, Globo, Elle, Maxi, Merian, Marie Claire, Newton, D - La repubblica delle Donne, Sette, Corriere Magazine. Attualmente è rappresentato dall'agenzia Anzenberger.
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